sabato 29 novembre 2008

C'è country e country



I tempi sono oscuri, il futuro nebuloso, l'orizzonte invisibile.
Ma resta la musica, questa non ce la può togliere nessuno.

Bela Fleck, qui con i suoi Flecktones, è tra l'altro l'autore e l'esecutore di quel bellissimo duetto banjo-chitarra del film "Un tranquillo week-end di paura".

sabato 22 novembre 2008

Manu Delago - Hand Drum Solo

Colori delicati negli occhi e suoni delicati nelle orecchie.

Il desiderio di lasciarsi ispirare da ciò che i nostri sensi percepiscono del mondo esterno, per cercare l'armonizzazione.

Mi resta difficile, ma ne ho bisogno.

lunedì 17 novembre 2008

Madredeus - Guitarra



Non li ho mai sentiti dal vivo, un amico che l'ha fatto si è innamorato perdutamente di lei.

Si chiama Teresa Salgueiro e questo è il viso angelico di questa voce angelica.

Foto tratta da http://madredeus.oasi.asti.it/

Il video è tratto dal film "Lisbon story" di Wim Wenders, che pare si sia anche lui innamorato perdutamente di lei... ;)

La "guitarra" ;)

sabato 15 novembre 2008

Tributo alle rotture di Satriani




Il titolo del pezzo, composto da un Satriani per così dire "anomalo", è tutto un programma: Tears in the rain, letteralmente Rotture sotto la pioggia.

Che anche lui abbia voluto riferirsi alla frantumazione degli accessori di cui ho accennato qualche giorno fa? ;)

Pare (PARE!) che almeno da noi migliorerà per il fine settimana.
Finchè non lo vedo non ci credo!



giovedì 13 novembre 2008

Sogno di mezza estate


Qualche tempo fa un'amica mi scrisse una mail allegando quest'incredibile sequenza fotografica.

Eliana, che è un'ottima nuotatrice, e il suo compagno Marcello stavano trasferendo... ma ve lo lascio leggere per come me l'ha scritto lei, ringraziandola per l'emozione che tutt'ora mi piglia ogni volta che rileggo queste righe ed anche per avermi permesso di pubblicare il tutto qui.


... volevo raccontarti cosa ci è capitato durante il trasferimento della barca di un amico da Genova alla Sardegna che abbiamo fatto approfittando dei ponti del primo maggio: durante la traversata (in vista della Corsica) ho avvistato una cosa strana (una pinna ed una coda fuori dall'acqua, ferme), ci siamo avvicinati ed era un delfino impigliato in quello che sembrava un palamito: a forza di dibattersi si era "incaprettato".
Aveva parecchi giri di lenza intorno al muso, che non riusciva ad aprire, ed i 2 capi di questa lenza gli si giravano intorno alla coda (bloccata in tensione) e sparivano in fondo al mare, bloccandolo.

Mi sono buttata con un coltello e l'ho liberato meglio che ho potuto.



Appena ha potuto si è allontanato, era stremato, più io nuotavo più lui accelerava, ma l'ho ripreso (l'ho abbracciato!) e ho tagliato tutti i fili che ho visto...



A quel punto era libero, ma le mani in bocca non riuscivo a mettergliele per capire cosa lo bloccava.




Intorno al muso aveva un solco molto profondo, ho tagliato la lenza più vicino che potevo, sperando che si sarebbe sciolto da solo e sono tornata in barca.


Anche altri 2 dell'equipaggio si erano buttati in acqua, ma non essendo nuotatori non sono mai riusciti ad avvicinarsi. Marcello invece ha continuato a filmare, fare foto e chiamare aiuto via radio e via telefono. Da Capo Corso hanno risposto che non potevano farci niente...ho fatto telefonare al 1530 in Italia dal mi' babbo (in Italia), niente... poi ci hanno chiamato dalla Francia e hanno fatto un sacco di domande, richieste di foto e film, ma nessun aiuto.



Io ero in barca, stavamo vicino al delfino che si muoveva piano ed ero molto triste (ci hanno detto che capita spesso, che quando è un po' che sono fermi vengono aggrediti dai parassiti e sono condannati); poi ha iniziato ad avvicinarsi alla barca, ha aperto il muso più volte, ha sollevato la testa e ci ha guardato, era a 1 metro dalla barca, eravamo impietriti, io lo stavo filmando.



Dopo averci guardato è passato sotto la prua della barca, è passato oltre e se ne è andato!

Vuol dire che è riuscito a liberare il muso, ha ripreso le forze, forse ha capito che lo avevamo aiutato, sembrava che ci salutasse, e se ne è andato...





Io spero tanto che si sia salvato! Ora è riconoscibilissimo: ha 2 solchi intorno al corpo, ma non riesco a capire di quale razza sia.

Per essere un tursiope è troppo piccolo, non ha i colori delle stenelle nè i disegni del delfino comune, al max è 1,5m, ma forse è una stenella.





Sono sicura che puoi capire la mia emozione, nuotare con un delfino e forse, se non salvarlo, almeno aiutarlo...






martedì 11 novembre 2008

Piove


Piove da 15 giorni.
Fa bene alle piante, alle coltivazioni in genere e ai bacini idrici.
Se il benessere delle palle fosse direttamente proporzionale alle dimensioni, ne potremmo dedurre che ne traggono giovamento anche loro, ma non è così.
Averle piene non è mai gratificante.


E allora si va a cercare un po' di sole nelle foto scattate tempo fa al parco, cercando di sgonfiarle almeno un po'.


Colori



Simmetrie


Livree




La torre
Il re prigionieroIl re liberato




mercoledì 5 novembre 2008

L'Uomo Nuvola



L'Uomo Nuvola viaggiava veloce, alto, col cuore nero carico di pioggia, oscurando le terre e i mari che sorvolava.
Era ottuso nel compimento della sua missione, incurante della riverente inquietudine che seminava tra bipedi e quadrupedi.

Lui non era nato per far caso a quelle quisquiglie, aveva da portare pioggia e umidità, che alle piante avrebbero fatto senz'altro bene, ma a lui, in fondo, non gl'importava neanche di quello.

Stava per giungere la notte e le nuvole sue sorelle, che a ponente coprivano l'orizzonte per facilitargli il viaggio, d'improvviso si squarciarono e lasciarono apparire il Sole.
Era caldo, nonostante stesse per coricarsi per il meritato riposo, e ancora ben sveglio.
Diede un'occhiata all'insensibile, giudicandolo forse anche un po' presuntuoso, lasciò partire un fascio di raggi e gli infiammò la testa, poi scese giù alle braccia e ancora più giù, fino al cuore.

E l'Uomo Nuvola rapidamente si dissolse, così, come se non fosse mai esistito.
Ma prima di sparire completamente ebbe un attimo di consapevolezza, si rese conto che la sua esistenza stava per terminare, diede un ultimo sguardo al Sole e morì.
Grato.

domenica 2 novembre 2008

Alberi


Mi trovavo nei ripidi boschi dei nostri Appennini in cerca di funghi. A dire il vero sapevo bene che non era ancora stagione, ma mi era sembrata un'ottima scusa per muovere questi muscoli impigriti e costringerli a fare il lavoro per il quale erano stati creati.

Era metà mattina di una giornata di giugno, il sole un po' velato, l'aria fresca notturna che ancora stagnava tra gli alberi, la maggior parte castani. I profumi umidi del bosco gratificavano le mie narici mentre in distanza una poiana richiamava con grida rauche il suo compagno o invitava il suo pulcino a librarsi in volo a fianco a lei. Più vicino si sentiva il ritmico battere di un picchio su un tronco cavo.
Giunto sul versante prospiciente il paese, distante in linea d'aria meno di un chilometro, mi fermai come al solito per poterlo abbracciare con un unico sguardo.
I tetti rossi, qualche camino fumante, il latrato di un cane. Tutto sembrava là a portata di mano, ma ci sarebbe voluta più di un'ora di cammino per raggiungerli.
Sarei dovuto scendere fino al torrente, trovare le giuste pietre, quelle grosse e piatte e ben ferme per attraversarlo senza bagnarmi i piedi, cercare tra i cespugli di vimine selvatico l'attacco del sentiero e risalire senza fretta. Che tanto a destinazione ci si arriva tutti, l'importante è godersi il viaggio.
Così cercai con cura un tronco abbattuto dove sedermi per fumarmi la meritata sigaretta, riposare e fantasticare incuriosito su quale ragione recondita poteva aver spinto i primi coloni a piazzarsi proprio in quel luogo.

All'improvviso mi sentii chiamare. Non una voce o un rumore. Qualcosa di diverso. Più silenzioso. Più intimo. Mi voltai e vidi un castano che fino a quel momento non avevo notato.

Doveva avere centinaia di anni. Il grosso tronco contorto e piegato verso valle poggiava su radici che fuoriuscivano dal terreno come le vene dalla mano di un vecchio. A metà altezza aveva una profonda cavità scavata forse inizialmente dalla rottura di un ramo, poi dalla putredine, poi dagli scoiattoli che l'avevano abitato lasciando tra le nicchie della spessa corteccia frammenti di gusci di nocciole.
Mi alzai quasi infastidito da quella non richiesta intromissione nei miei pensieri. Mi avvicinai. E a quel punto lui cominciò a parlarmi.

Mi parlò del vento primaverile che scuote i suoi rami giovani facendoli danzare gioiosi durante i Giorni della Festa di Primavera, del vento estivo che asciuga la linfa e prepara le foglie al cambio di livrea, di quello autunnale che porta la pioggia violenta che nutre la terra ma che le uccide strappandole ad una ad una e le trasforma nel cuscino dove si poserà la prima neve, e la seconda, e anche la terza e la quarta, nevi portate dai venti gelidi dell'inverno, folate che ghiacciano la nebbia nel sudario trasparente che copre la pietra, il legno, il cuore, ghiaccio che appesantisce i rami fino a spezzare i più giovani che nella buona stagione hanno osato protendersi oltre il dovuto. E poi ancora del vento primaverile che scuote con gioia i rami rimasti.
Mi parlò delle tante coppie di scoiattoli che aveva ospitato, che in cambio di un riparo caldo e asciutto gli avevano regalato repentini guizzi di energia vitale, frenesie, nascite, morti, gemiti, amori, richiami di cuccioli.
Mi parlò del paesaggio che vedeva e sentiva da quando era nato, sempre uguale e sempre diverso, di tutte le sfumature dei colori dell'erba, dell'esplodere della vita a primavera, di quanti soli aveva visto sorgere e tramontare, di quante volte la luna l'aveva baciato con i suoi raggi facendo capolino tra le nubi, di quante stelle nelle gelide e terse notti invernali avevano ammiccato con complicità a lui, silenzioso e addormentato, ed ai suoi rami spogli.
Mi parlò delle sue radici che di nascosto si intrecciano con quelle degli altri castani, dei faggi, dei noccioli, delle querce, si abbracciano al micelio dei funghi buoni e cattivi, si intersecano con le radici del rovo, dell'edera, della gramigna, della viola, della fragola di bosco.
Mi parlò dell'attimo e dell'eternità, del mio tempo che è nulla a confronto del suo, del tempo della farfalla che è nulla a confronto del mio, del tempo dell'universo, che pare infinito a confronto con tutto il resto.

Mi parlò di tante cose ancora l'antico gigante e mi fu amico. E l'abbracciai con le mie corte braccia umane non riuscendo neanche a circondarne la metà. Appoggiai il viso alla sua ruvida scorza. Lasciai fluire dentro di me il suo sapere, la sua saggezza, la sua forza, la sua serenità, e divenni sua parte, suo tronco, suo ramo, sua foglia. Mi abbandonai fremente alla brezza, mi lasciai baciare dai caldi raggi del sole, sentii scorrere dentro di me la verde linfa che mi nutriva.
Divenni albero.

Restai lì a lungo e quando me ne staccai, si era fatto tardi ed era ora di tornare a casa, mentre mi voltavo, lui, ci giurerei, mi fece l'occhiolino.