mercoledì 31 dicembre 2008

Fate le debite proporzioni

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Frugando in rete mi sono imbattuto in questa gif, che non è solo spettacolare dal punto di vista grafico, ma è anche magnifica sotto l'aspetto... chiamiamolo filosofico.

Mi è venuto da pensare alla pochezza delle nostre esistenze, ai tronfi nani che invadono ogni giorno tutti i nostri spazi audio-visivi, alla futilità della nostra aspettativa (latente, ma ben radicata in noi) di vita eterna, nonostante dovremmo renderci conto che siamo tutti quanti condannati a morte fin dalla nascita.

Ma ho pensato anche a quanto grande, misterioso, inesplorato sia questo nostro universo, a quali impensabili meraviglie deve nascondere dentro le sue profondità, a quante e quali forme di vita devono popolare i suoi infiniti pianeti.

Già... in fondo, fatte le debite proporzioni, noi siamo semplicemente microbi.
E a giudicare ciò che stiamo facendo al nostro corpo ospitante, nostra Madre Terra, siamo anche piuttosto dannosi.


Detto questo, non mi dispiacerebbe affatto trascorrere la prossima serata davanti ad un caminetto scoppiettante, con buona musica di sottofondo, con un'ampia scelta di prelibatezze e vini d'annata, in compagnia di un'avvenente microba.

domenica 28 dicembre 2008

Un casello e una domanda


Sto a 35 km dal piccolo centro incastonato negli Appennini dove abita l'altro chitarrista del gruppo, ha adibito una stanza a studio di registrazione e tutti i sabato pomeriggio mi faccio questi 70 km tra andare e tornare.

Ieri parto come al solito verso le 13,30, prendo l'autostrada e arrivo al casello verso le 14.
Noto che l'uscita con l'operatore mostra il semaforo rosso e mi dirigo quindi verso l'unico casello aperto, quello con pagamento automatico, do un'occhiata al porta monete davanti alla leva del cambio, ma mi accorgo che ne contiene solo una da un euro e una da 10 centesimi: mi mancano 50 centesimi.
Mentre mi avvicino all'auto davanti, che nel frattempo parte, recupero dalla tasca posteriore dei calzoni il portafogli, lo apro e con disappunto mi accorgo che in moneta ho solo un centesimo. Vabbe', pagherò con 5 euro.
Azz... ho solo due fogli da 50!

Frugo e rifrugo dappertutto, mentre dietro di me arrivano altre due auto, ma non spuntano fuori nè monete, nè tagli più piccoli, introduco quindi il biglietto, sperando in cuor mio che sia giornata di sconti e che basti quello che ho, ma impietosamente la cifra che appare mi conferma l'ovvietà.
A malinquore e con un certo timore infilo la banconota nell'apposita fessura che se la risucchia in una frazione di secondo, guardo il display e mi pare ci metta una vita per riconoscere che gli ho dato uno sproposito di soldi, ma alla fine la simpatica vocetta mi ordina "Ritirare il resto".
Bene, mentre sento una cascata di spiccioli cadere nella nicchia vedo spuntare da quella a fianco un mazzetto di banconote, le acchiappo al volo prima che se le risucchi (non si sa mai) e le conto: 4 da 5 euro.
Come 4 da 5! E il resto tutto in moneta?!?
Si.

Infilo la mano nello scomparto e comincio a raccatare i dischetti metallici, mentre in coda alla fila il ragazzotto alla guida dell'utilitaria, con assetto da gran premio e dalla quale esce un PUNCI-PUNCI-PUNCI-PUNCI valutato attorno ai 5000 watt, comincia a dare segni di inquietudine dando un paio di accelerate.
Riesco a raccogliere quasi tutte le monete, una da 2 euro mi cade però dalle mani che nel frattempo si sono ghiacciate e finisce sotto la macchina.
Apro la portiera, ma son troppo vicino e non riesco neanche a mettere fuori la testa, nel frattempo lo Shumacher là dietro dà un'altra accelerata.
Mandando mentalmente affanculo lui e la simpatica signorina che mi augura "Buongiorno!" (vorrei un giorno incontrarla per dirle che a me con quel tono non lo deve pronunciare!), chiudo la portiera, parto e mi fermo accostando poco più avanti.

Scendo, torno indietro, mentre alle prese con la macchina infernale c'è il vecchietto che era subito dietro di me.
Naturalmente con l'auto è salito sopra i miei due euro, quindi mi vado a mettere dietro di lui e aspetto che parta; il ragazzotto alle mie spalle di sicuro mi guarda con odio.
Non appena si muove faccio un passo, mi chino a raccogliere la moneta, mi rialzo e vado verso la mia auto.
SBOING!!! Le sbarre sia alzano, ma poco dopo si abbassano.
Solitamente non sulle teste, ma talvolta si.
Questa è "talvolta".
Nonostante il PUNCI-PUNCI odo la risata del ragazzotto mentre sgommando mi passa a fianco.

Di solito non porto mai bazooka con me, ma in quel momento ho valutato seriamente l'utilità di un simile strumento.
Se in questa stagione sono obbligatorie le catene, i bazooka dovrebbero farli quantomeno facoltativi.
In tutte le stagioni.
Contemporaneamente mi frulla in testa la frase di quel pacifista: "Io non sopporto i violenti. Gli schiaccerei la testa sotto un camion!"

Arrivo allo studio dove trovo il batterista, il padrone di casa è in Trentino e il riscaldamento acceso un'ora prima pare che neanche esista.
Accendiamo il pc, lanciamo il sequencer (software per registrare e mixare) e si pianta tutto.
Spegniamo, riaccendiamo, scandiskiamo, nulla da fare.
Disinstalliamo il sequencer e lo reinstalliamo almeno dieci volte senza esito.
Vabbe', ho con me l'hard disk che porto avanti e indietro e sul quale, oltre a salvataggi dei pezzi, ho anche tutto il software possibile e immaginabile.
Creiamo una nuova partizione e lanciamo l'installazione di un altro Xp Pro per non toccare quello già esistente.
A metà lavoro si pianta.
Sono già le 19,30, scolleghiamo il pc e lo portiamo all'auto. Me lo porto a casa e con calma ci lavoro.

Stamattina comincio a collegarlo alle mie periferiche: monitor, mouse, tastiera... tastiera...
Tastiera?!?
La mia ha lo spinotto PS2 e il pc che s'è fatto 35 km nel bagagliaio ha solo porte USB...

Domanda: è la coda del 2008 o è l'anticipo del 2009? ;)

sabato 27 dicembre 2008

Movie all'uopo

Ho trovato la giusta rappresentazione della locazione (simile a quella odierna qui) ed il perfetto fisarmonicista. ;)

martedì 23 dicembre 2008

Auguri!

Ilana Yahav è un'artista israeliana, con cosa crea le sue opere ve lo lascio scoprire da soli.

Mi piace come termina questo filmato e lo uso come augurio per il futuro, per tutti voi che passate da qui e anche per me.

domenica 21 dicembre 2008

Barone Rosso

Un po' di sano jazz.
Questo Red Baron di Billy Cobham è qui interpretato da Steve Fairclough e la sua Acoustic Band. Ebbi occasione di ascoltare questo chitarrista irlandese qualche anno fa assieme a Beppe Gambetta ed altri musicisti messi assieme da quest'ultimo: ambedue da non perdere!

mercoledì 17 dicembre 2008

Sai fare un tubo?

A chi un giorno vi dovesse dire "Non sai fare un tubo!", mostrategli questo video.


Si può far musica con qualunque cosa, persino con uno strumento vero, ma non solo. Questo Nicolas Repac è la prima volta che lo sento e non ho la minima idea se suoni o meno qualcos'altro, di sicuro so che ascoltando questo pezzo difficilmente si riesce a stare fermi.

venerdì 12 dicembre 2008

Padre

Keith Jarrett - My Wild Irish Rose


Un giorno ricevetti da un amico richiesta d’aiuto. Una sua lontana parente, della quale non ricordava neppure l’esistenza, era morta lasciandogli in eredità un piccolo appartamento. Si trattava di visitare quelle stanze cercando di scovare qualcosa di valore, prima di vendere tutto il loro contenuto e le mura stesse.
Ricordo che erano veramente poche le cose per le quali valesse la pena quantomeno del trasporto, ma prendendo in mano un vecchio libro, cadde a terra una lettera manoscritta, senza firma né data, piegata in quattro, ingiallita dal tempo, con i bordi resi secchi e fragili dalla polvere, cosparsa di macchie color della ruggine, l’inchiostro blu di penna stilografica, steso con calligrafia ordinata e minuta, oramai quasi illeggibile da quanto era schiarito.
Ne rimasi colpito e chiesi al nuovo proprietario se potevo tenerla per me; quello acconsentì e potei quindi portarmela a casa.
Non credo di avere il diritto di commentarla e quindi la trascrivo integralmente.

“In fondo, finch'é restato in vita, ho sempre vagamente detestato mio padre.
La sua barba ispida quando lo baciavo al ritorno da un viaggio, l’acre odore delle Nazionali Esportazione che sempre aleggiava nell’abitacolo della sua auto con la cenere che gli si allungava fino a cadere inevitabilmente sul pavimento.
Certo pure l'amavo.
Ma ero anche, in modo leggero quasi inavvertibile, in qualche maniera invidioso delle sue capacità manuali che gli permettevano di eseguire con la determinazione dell'esperto qualunque lavoro anche mai fatto in vita sua, della sua intelligenza che gli dava la possibilità di affrontare qualsiasi problema senza preconcetti, della sua calma, della sua simpatia, della sua bravura nella pesca, nel trovare funghi, della sua filosofia del vivi e lascia vivere, della sua capacità di mediare ogni incomprensione.
Insomma, io che ho sempre desiderato essere indipendente, libero, che ho sempre detestato gli insegnanti, che ho sempre ambito ad essere scevro da ogni obbligo materiale e morale nei confronti di chicchessia, al suo cospetto mi son sempre sentito inferiore.
E per queste ragioni, nonostante gli ultimi anni della sua vita mi avesse invitato periodicamente ad andare a pesca con lui, avevo sempre declinato l'offerta per mancanza di tempo o perché avevo qualcosa di più importante da fare, in realtà per evitare un disagevole confronto e a volte addirittura infastidito dalla sua presenza.

Quando i medici ci avvertirono che gli restavano solo sei mesi di vita, il tutto mi apparve finalmente chiaro; allora si che avrei preso la canna da pesca e l'avrei accompagnato in capo al mondo, godendo della sua presenza, assaporando ogni sua parola, gustando senza remore l'amore non dichiarato che ci legava l'uno all'altro. Ma era troppo tardi.
Per lui la stagione delle trote e dei funghi era finita, per me era iniziata quella del rammarico.

Ed ora che son passati più di dodici anni, che vedo le cose in una prospettiva diversa, che mi rendo conto di quanto ho imparato da lui, che sono padre a mio volta di un ragazzo ormai uomo nel quale mi pare a volte di avvertire gli stessi sentimenti miei di allora, credo di aver capito che i figli sono sempre migliori dei padri, se non altro perché anche inconsapevolmente fanno tesoro delle esperienze dei loro genitori, perché a loro appaiono più evidenti i difetti dei più anziani e faranno di tutto per evitarli, per essere meno egoisti, più onesti, più giusti.
Quindi mio figlio non dovrà mai, per nessuna ragione, sentirsi inferiore a me; sappia che avrebbe torto in pieno.
Lui é migliore.”


mercoledì 10 dicembre 2008

Piccoli strumenti crescono



Nevica anche qui, ma fortunatamente in rete si può navigare anche senza catene.

Nonostante non sia particolarmente attratto dagli strumenti elettronici, questo mi ha colpito: è l'ultima novità proveniente dal Giappone e il suo creatore Toshio Iwai l'ha chiamata Tenori-on.
Tralasciando le note tecniche, credo che la caratteristica davvero apprezzabile sia quella di poter far sbizzarrire anche chi di musica ne sa poco o nulla.


Il nome di questo strumento mi ha fatto ricordare una sera di tanti anni fa che accompagnai un'amica ad un concerto di musica operistica, dove tra gli altri si esibì il suo fidanzato, appunto tenore.
Fu per me la prima ed unica volta che ascoltai un'opera dal vivo e ne rimasi davvero impressionato.
Questo il resoconto di quella serata.





TENORI e TREMORI della terza decade di Maggio

Stasera andrò all'Opera.
Mi vestirò con cura cercando di rallentare i battiti cardiaci e di zittire i brontolii dell'anima, così da apparire bello fuori e dentro, da lasciare senza fiato.
Però prima cercherò una catena grossa e non troppo lunga. Voglio legarvi il lupo, concedendogli una carezza prima di lasciarlo, mentre mi assicuro che il collare sia ben serrato. Che non mi segua, che non possa raggiungermi per leccarmi la mente né per mordermi il cuore. Lo voglio caldo questa sera il cuore. Libero di pulsare fino a farmi scoppiare il petto. E intanto conto i minuti che non passano mai, impaziente come non sono mai stato.
Sono forse io il tenore alla mia Prima?
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Come un rinoceronte in un negozio di cristallerie ho assistito allo spettacolo, badando a non muovermi troppo, a non grugnire né sporcare per terra. Mantenendo il mio spirito critico ma cercando di non trasformare le mie carine deviazioni in canine deiezioni.
Mi sono lasciato trascinare dalle rapide impetuose delle Emozioni Forti, pagaiando come un forsennato, a volte all'indietro, a volte a destra, a volte a sinistra, qualche volta, forse, in avanti, completamente frastornato. Tanto da non riuscire neanche a capire da che parte tirasse la corrente.
Buona musica però questa sera. Di quella che ti lascia il segno.
Persino troppo fine per le mie incompetenti orecchie.
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E poi, eterogeneo scampolo di umanità, ci siamo ritrovati tutti insieme a bere dal calice della spensieratezza. L'artista, l'eremita, la scettica, la pura, il sensibile, lo sconosciuto, la diffidente, l'esaurita, il mago e l'introverso. Tutti insieme. Di fatto senza conoscerci, fondamentalmente estranei uno all'altro e ciononostante, come per miracolo, felici. Abbiamo percorso quel breve tempo (sempre troppo brevi sono i momenti belli) godendo di noi, regalandoci gioia a vicenda.

Cosa chiedere di più?


lunedì 8 dicembre 2008

Greg Howard - Goodbye Pork Pie Hat



Greg Howard è a mio parere il miglior suonatore di Chapman Stick al mondo.
Il Chapman Stick è uno strumento abbastanza recente che porta sul grosso manico sia le corde del basso che le corde della chitarra, va suonato percuotendole con i polpastrelli e necessita di una indipendenza notevole.

Qui Howard interpreta Goodbye Pork Pie Hat del grande Charles Mingus.

martedì 2 dicembre 2008

Due marziani

A Jean du Yacht e a me, tali sono sembrati Enrico Rava e Stefano Bollani, ieri sera al Teatro della Corte di Genova.
Ironici, informali, coinvolgenti, aggressivi e dolci a seconda dei pezzi, con un'intesa così perfetta da sembrare una persona sola.
Insomma, semplicemente magici.

Mi scuso per la qualità del sonoro e del video, ma (naturalmente) ho scordato la fotocamera a casa e col cellulare mi sono azzardato a filmare solo la fine di questa "Estate" che ci hanno donato come ultimo bis.
Consiglio a tutti di non perdere l'opportunità di sentirli dal vivo alla prima occasione utile.

sabato 29 novembre 2008

C'è country e country



I tempi sono oscuri, il futuro nebuloso, l'orizzonte invisibile.
Ma resta la musica, questa non ce la può togliere nessuno.

Bela Fleck, qui con i suoi Flecktones, è tra l'altro l'autore e l'esecutore di quel bellissimo duetto banjo-chitarra del film "Un tranquillo week-end di paura".

sabato 22 novembre 2008

Manu Delago - Hand Drum Solo

Colori delicati negli occhi e suoni delicati nelle orecchie.

Il desiderio di lasciarsi ispirare da ciò che i nostri sensi percepiscono del mondo esterno, per cercare l'armonizzazione.

Mi resta difficile, ma ne ho bisogno.

lunedì 17 novembre 2008

Madredeus - Guitarra



Non li ho mai sentiti dal vivo, un amico che l'ha fatto si è innamorato perdutamente di lei.

Si chiama Teresa Salgueiro e questo è il viso angelico di questa voce angelica.

Foto tratta da http://madredeus.oasi.asti.it/

Il video è tratto dal film "Lisbon story" di Wim Wenders, che pare si sia anche lui innamorato perdutamente di lei... ;)

La "guitarra" ;)

sabato 15 novembre 2008

Tributo alle rotture di Satriani




Il titolo del pezzo, composto da un Satriani per così dire "anomalo", è tutto un programma: Tears in the rain, letteralmente Rotture sotto la pioggia.

Che anche lui abbia voluto riferirsi alla frantumazione degli accessori di cui ho accennato qualche giorno fa? ;)

Pare (PARE!) che almeno da noi migliorerà per il fine settimana.
Finchè non lo vedo non ci credo!



giovedì 13 novembre 2008

Sogno di mezza estate


Qualche tempo fa un'amica mi scrisse una mail allegando quest'incredibile sequenza fotografica.

Eliana, che è un'ottima nuotatrice, e il suo compagno Marcello stavano trasferendo... ma ve lo lascio leggere per come me l'ha scritto lei, ringraziandola per l'emozione che tutt'ora mi piglia ogni volta che rileggo queste righe ed anche per avermi permesso di pubblicare il tutto qui.


... volevo raccontarti cosa ci è capitato durante il trasferimento della barca di un amico da Genova alla Sardegna che abbiamo fatto approfittando dei ponti del primo maggio: durante la traversata (in vista della Corsica) ho avvistato una cosa strana (una pinna ed una coda fuori dall'acqua, ferme), ci siamo avvicinati ed era un delfino impigliato in quello che sembrava un palamito: a forza di dibattersi si era "incaprettato".
Aveva parecchi giri di lenza intorno al muso, che non riusciva ad aprire, ed i 2 capi di questa lenza gli si giravano intorno alla coda (bloccata in tensione) e sparivano in fondo al mare, bloccandolo.

Mi sono buttata con un coltello e l'ho liberato meglio che ho potuto.



Appena ha potuto si è allontanato, era stremato, più io nuotavo più lui accelerava, ma l'ho ripreso (l'ho abbracciato!) e ho tagliato tutti i fili che ho visto...



A quel punto era libero, ma le mani in bocca non riuscivo a mettergliele per capire cosa lo bloccava.




Intorno al muso aveva un solco molto profondo, ho tagliato la lenza più vicino che potevo, sperando che si sarebbe sciolto da solo e sono tornata in barca.


Anche altri 2 dell'equipaggio si erano buttati in acqua, ma non essendo nuotatori non sono mai riusciti ad avvicinarsi. Marcello invece ha continuato a filmare, fare foto e chiamare aiuto via radio e via telefono. Da Capo Corso hanno risposto che non potevano farci niente...ho fatto telefonare al 1530 in Italia dal mi' babbo (in Italia), niente... poi ci hanno chiamato dalla Francia e hanno fatto un sacco di domande, richieste di foto e film, ma nessun aiuto.



Io ero in barca, stavamo vicino al delfino che si muoveva piano ed ero molto triste (ci hanno detto che capita spesso, che quando è un po' che sono fermi vengono aggrediti dai parassiti e sono condannati); poi ha iniziato ad avvicinarsi alla barca, ha aperto il muso più volte, ha sollevato la testa e ci ha guardato, era a 1 metro dalla barca, eravamo impietriti, io lo stavo filmando.



Dopo averci guardato è passato sotto la prua della barca, è passato oltre e se ne è andato!

Vuol dire che è riuscito a liberare il muso, ha ripreso le forze, forse ha capito che lo avevamo aiutato, sembrava che ci salutasse, e se ne è andato...





Io spero tanto che si sia salvato! Ora è riconoscibilissimo: ha 2 solchi intorno al corpo, ma non riesco a capire di quale razza sia.

Per essere un tursiope è troppo piccolo, non ha i colori delle stenelle nè i disegni del delfino comune, al max è 1,5m, ma forse è una stenella.





Sono sicura che puoi capire la mia emozione, nuotare con un delfino e forse, se non salvarlo, almeno aiutarlo...






martedì 11 novembre 2008

Piove


Piove da 15 giorni.
Fa bene alle piante, alle coltivazioni in genere e ai bacini idrici.
Se il benessere delle palle fosse direttamente proporzionale alle dimensioni, ne potremmo dedurre che ne traggono giovamento anche loro, ma non è così.
Averle piene non è mai gratificante.


E allora si va a cercare un po' di sole nelle foto scattate tempo fa al parco, cercando di sgonfiarle almeno un po'.


Colori



Simmetrie


Livree




La torre
Il re prigionieroIl re liberato




mercoledì 5 novembre 2008

L'Uomo Nuvola



L'Uomo Nuvola viaggiava veloce, alto, col cuore nero carico di pioggia, oscurando le terre e i mari che sorvolava.
Era ottuso nel compimento della sua missione, incurante della riverente inquietudine che seminava tra bipedi e quadrupedi.

Lui non era nato per far caso a quelle quisquiglie, aveva da portare pioggia e umidità, che alle piante avrebbero fatto senz'altro bene, ma a lui, in fondo, non gl'importava neanche di quello.

Stava per giungere la notte e le nuvole sue sorelle, che a ponente coprivano l'orizzonte per facilitargli il viaggio, d'improvviso si squarciarono e lasciarono apparire il Sole.
Era caldo, nonostante stesse per coricarsi per il meritato riposo, e ancora ben sveglio.
Diede un'occhiata all'insensibile, giudicandolo forse anche un po' presuntuoso, lasciò partire un fascio di raggi e gli infiammò la testa, poi scese giù alle braccia e ancora più giù, fino al cuore.

E l'Uomo Nuvola rapidamente si dissolse, così, come se non fosse mai esistito.
Ma prima di sparire completamente ebbe un attimo di consapevolezza, si rese conto che la sua esistenza stava per terminare, diede un ultimo sguardo al Sole e morì.
Grato.

domenica 2 novembre 2008

Alberi


Mi trovavo nei ripidi boschi dei nostri Appennini in cerca di funghi. A dire il vero sapevo bene che non era ancora stagione, ma mi era sembrata un'ottima scusa per muovere questi muscoli impigriti e costringerli a fare il lavoro per il quale erano stati creati.

Era metà mattina di una giornata di giugno, il sole un po' velato, l'aria fresca notturna che ancora stagnava tra gli alberi, la maggior parte castani. I profumi umidi del bosco gratificavano le mie narici mentre in distanza una poiana richiamava con grida rauche il suo compagno o invitava il suo pulcino a librarsi in volo a fianco a lei. Più vicino si sentiva il ritmico battere di un picchio su un tronco cavo.
Giunto sul versante prospiciente il paese, distante in linea d'aria meno di un chilometro, mi fermai come al solito per poterlo abbracciare con un unico sguardo.
I tetti rossi, qualche camino fumante, il latrato di un cane. Tutto sembrava là a portata di mano, ma ci sarebbe voluta più di un'ora di cammino per raggiungerli.
Sarei dovuto scendere fino al torrente, trovare le giuste pietre, quelle grosse e piatte e ben ferme per attraversarlo senza bagnarmi i piedi, cercare tra i cespugli di vimine selvatico l'attacco del sentiero e risalire senza fretta. Che tanto a destinazione ci si arriva tutti, l'importante è godersi il viaggio.
Così cercai con cura un tronco abbattuto dove sedermi per fumarmi la meritata sigaretta, riposare e fantasticare incuriosito su quale ragione recondita poteva aver spinto i primi coloni a piazzarsi proprio in quel luogo.

All'improvviso mi sentii chiamare. Non una voce o un rumore. Qualcosa di diverso. Più silenzioso. Più intimo. Mi voltai e vidi un castano che fino a quel momento non avevo notato.

Doveva avere centinaia di anni. Il grosso tronco contorto e piegato verso valle poggiava su radici che fuoriuscivano dal terreno come le vene dalla mano di un vecchio. A metà altezza aveva una profonda cavità scavata forse inizialmente dalla rottura di un ramo, poi dalla putredine, poi dagli scoiattoli che l'avevano abitato lasciando tra le nicchie della spessa corteccia frammenti di gusci di nocciole.
Mi alzai quasi infastidito da quella non richiesta intromissione nei miei pensieri. Mi avvicinai. E a quel punto lui cominciò a parlarmi.

Mi parlò del vento primaverile che scuote i suoi rami giovani facendoli danzare gioiosi durante i Giorni della Festa di Primavera, del vento estivo che asciuga la linfa e prepara le foglie al cambio di livrea, di quello autunnale che porta la pioggia violenta che nutre la terra ma che le uccide strappandole ad una ad una e le trasforma nel cuscino dove si poserà la prima neve, e la seconda, e anche la terza e la quarta, nevi portate dai venti gelidi dell'inverno, folate che ghiacciano la nebbia nel sudario trasparente che copre la pietra, il legno, il cuore, ghiaccio che appesantisce i rami fino a spezzare i più giovani che nella buona stagione hanno osato protendersi oltre il dovuto. E poi ancora del vento primaverile che scuote con gioia i rami rimasti.
Mi parlò delle tante coppie di scoiattoli che aveva ospitato, che in cambio di un riparo caldo e asciutto gli avevano regalato repentini guizzi di energia vitale, frenesie, nascite, morti, gemiti, amori, richiami di cuccioli.
Mi parlò del paesaggio che vedeva e sentiva da quando era nato, sempre uguale e sempre diverso, di tutte le sfumature dei colori dell'erba, dell'esplodere della vita a primavera, di quanti soli aveva visto sorgere e tramontare, di quante volte la luna l'aveva baciato con i suoi raggi facendo capolino tra le nubi, di quante stelle nelle gelide e terse notti invernali avevano ammiccato con complicità a lui, silenzioso e addormentato, ed ai suoi rami spogli.
Mi parlò delle sue radici che di nascosto si intrecciano con quelle degli altri castani, dei faggi, dei noccioli, delle querce, si abbracciano al micelio dei funghi buoni e cattivi, si intersecano con le radici del rovo, dell'edera, della gramigna, della viola, della fragola di bosco.
Mi parlò dell'attimo e dell'eternità, del mio tempo che è nulla a confronto del suo, del tempo della farfalla che è nulla a confronto del mio, del tempo dell'universo, che pare infinito a confronto con tutto il resto.

Mi parlò di tante cose ancora l'antico gigante e mi fu amico. E l'abbracciai con le mie corte braccia umane non riuscendo neanche a circondarne la metà. Appoggiai il viso alla sua ruvida scorza. Lasciai fluire dentro di me il suo sapere, la sua saggezza, la sua forza, la sua serenità, e divenni sua parte, suo tronco, suo ramo, sua foglia. Mi abbandonai fremente alla brezza, mi lasciai baciare dai caldi raggi del sole, sentii scorrere dentro di me la verde linfa che mi nutriva.
Divenni albero.

Restai lì a lungo e quando me ne staccai, si era fatto tardi ed era ora di tornare a casa, mentre mi voltavo, lui, ci giurerei, mi fece l'occhiolino.

mercoledì 29 ottobre 2008

Il cacciatore


Aveva sempre avuto un rapporto strano con la caccia.

Da bambino era solito andare con i suoi piccoli amici sulle colline a ridosso della valle (dove a quei tempi suo padre saliva a cacciare gli uccelli di passo nelle brumose e fresche mattine autunnali) a tagliare, dopo averle scelte con cura, le biforcazioni dei rami giovani di frassino per farci le fionde con le quali sarebbero andati poi a caccia di lucertole.
Bisognava spellarli quei legni, sagomarli arrotondandone le estremità, intagliarne leggermente le due superiori, legare le stesse con filo di ferro ed essiccarle sul focherello di legna secca o sul fornello a gas di casa, se le mamme lo permettevano, fino a far loro prendere la forma voluta, quindi montarle legandone con precisione gli elastici, quelli marroni a sezione quadrata comprati in cartoleria, ed il piccolo lembo di pelle che avrebbe accolto il proiettile.
Se le lucertole erano la preda comune, il ramarro era quella regina, anche perché passeri e affini ben raramente li lasciavano arrivare a tiro. Ma con i grossi rettili non era facile. Innanzi tutto perché molto più rari, diffidenti e veloci, poi perché il loro habitat era costituito da prati, bassa vegetazione ed intricati cespugli dove si nascondevano rapidamente al primo movimento sospetto. Quindi, chi aveva la fortuna di ucciderne uno, veniva considerato all'unanimità il tiratore più bravo.
Ben presto le fionde furono accantonate per lasciare il posto alle carabine ad aria compressa; prima quelle a pallini di gomma e poco dopo quelle a pallini di piombo, decisamente molto più precise ed efficienti. Con questo strumento era sufficiente appostarsi anche a dieci metri di distanza che, era certo, ogni tiro sarebbe stato un centro. Nessun ramarro aveva però fatto parte del suo carniere fino a quel momento e ciò era per lui motivo di rammarico.
Un giorno, percorrendo un sentiero, perfettamente calato nelle vesti del cacciatore di safari, vide uno splendido e grosso maschio posato su di una roccia scoperta, in bella vista, a meno di tre metri, immobile a scaldarsi al sole, finalmente a tiro, e lentamente si portò la carabina alla spalla assaporando già il trionfo con gli amici. Ma nel momento in cui la sua fiera testa squamosa collimò con il mirino, l’animale si accorse di lui e alzando il capo si voltò a squadrarlo. Fu allora che notò i suoi neri occhi intelligenti e senza paura, la sua giogaia gialla rossa e azzurro vivo del periodo degli amori, il suo collo pulsante del ritmo del suo cuore; e il dito indice gli si bloccò. I secondi passarono lenti e quando infine premette il grilletto vide schizzare schegge di pietra e polvere a qualche centimetro dal capo del sauro ed un istante dopo lui non c'era più.
Tornò a casa deluso per la pessima mira e deciso a non farne parola con nessuno, ma quando la sera fu preso da improvviso impulso e cominciò a raccontare tutto al padre, questi sorridendo gli disse con semplicità: - Non hai sbagliato mira, semplicemente non l'hai voluto ammazzare. E non c'è proprio nulla di cui vergognarsi. -

Molti anni più tardi si ritrovò con un amico a cacciare fagiani nei brumosi e sconfinati coltivati di pianura.
Avevano con loro un vecchio e zoppicante bracco, ciononostante ancora incredibilmente efficiente e ridondante di regale dignità, perché il passare degli anni gli aveva donato una saggezza e un’esperienza tali da renderlo perfettamente consapevole della propria bravura. Il magnifico ausiliario si bloccò in ferma ad una trentina di metri da lui con la coda parallela al terreno e la zampa anteriore destra sollevata. Mentre l’uomo si avvicinava gli diede una rapida occhiata e giudicandolo sufficientemente vicino fece un veloce movimento togliendosi dalla linea di tiro e portandosi ad angolo retto rispetto alla retta immaginaria tracciata tra lui e la preda. Quando fu a pochi passi si mosse ancora una volta mettendosi di fronte a lui continuando a guardare fisso una stoppia giusto a metà strada tra i due. Per l’uomo continuò ad essere impossibile scorgere qualcosa di diverso tra quell'erba secca e quelle zolle di terra ma fu sufficiente che sussurrasse un "Vai!" per far scattare il quadrupede ad alzare in volo un magnifico fagiano.
Come diceva il suo caro amico, "...il divertimento finisce quando premi il grilletto...".
Quella stessa mattina una scorribanda del loro compagno a quattro zampe fece partire in corsa sfrenata ad una trentina di metri davanti a loro una gigantesca lepre. Imbracciare la doppietta fu un attimo, mirò davanti all'animale in fuga dando il giusto anticipo e ... non sparò. - Perché non hai sparato! - lo redarguì deluso il suo compagno; - Era fuori tiro…. - rispose. -
In realtà in quella frazione di secondo aveva notato che sulla linea di tiro (a più di cento metri però) vi era una fattoria e si era anche incantato ad ammirare l'eleganza armoniosa della corsa della grossa lepre.
Ma, più di ogni altra cosa, gli era tornato in mente il ramarro.

martedì 21 ottobre 2008

L'equilibrista paziente

Folate di vento,
aghi di ghiaccio che forano la pelle
mentre il calore fugge con l’ultima luce.

L’eco della tua voce è un esile filo
che mi tiene sospeso qui,
sul pozzo della follia.

Mi accascio, mi rannicchio, m’inglobo in me stesso,
nell’eterna illusione di trovare in me
un punto di luce al quale aggrapparmi.

L’asta d’equilibrio pesa tra le pieghe
del mio cuore accartocciato,
mentre con goffi movimenti
azzardo l’ennesimo tentativo
di alzare il capo, di muovere un passo.

Si.
Un passo.
Ancora uno, faticoso,
con piedi di piombo affondati nella palude delle angosce,
un passo dopo l’altro,
ben attento a posarli sul cavo d’acciaio della mia vita,
senza sbagliare, che altrimenti sarebbe la morte.
Come se questa non fosse morte.

Ma io credo alla promessa.
Tornerai, lo so.
E mi troverai qui, come sempre,
stracciato, masticato, divorato, rigurgitato.
E allora potrò gettare l’asta, che alle aquile non serve,
allargare le ali rattrappite e con un piccolo balzo lasciare il cavo,
per librarmi con te, in alto, seguendoti fiducioso sempre più su,
per cieli tersi e luminosi.

Ma non è tempo ancora,
i passi saranno molti,
quindi ti aspetterò camminando,
cercando di non correre,
che la corsa non muterebbe certo
lo scorrere del tempo,
concentrato sul passo del momento
e su quello successivo.

Pazientemente.

L'equilibrista Andrey Ivaknenko, tratto dal sito http://www.circusfans.net/CircoMassimo/fotospettacoli/showB/2004showB.html

domenica 19 ottobre 2008

Per sconfondere Janas (per toglierla dalla confusione)

Vabbe', Janas, visto che Jean e il sottoscritto non siamo stati sufficientemente chiari ti posto una foto che ci raffigura entrambi.

Naturalmente parliamo di altri tempi, altri luoghi, altri scenari socio-politici e altre aspirazioni.
Quante aspirazioni... ;)






















Foto di Okinawa

sabato 18 ottobre 2008

Buona domenica.

giovedì 16 ottobre 2008

Handy McKee

Haemo, benvenuto anche a te.
E' mica lui Mr. Zucca?


martedì 14 ottobre 2008

OUVERTURE


Mi faccio un blog.
Tutti hanno un blog, perchè non io?

Ok, HO IL MIO BLOG!

..........E ora che ci faccio?

Due giorni a pensare ... a chi ca77o può interessare ciò che scrivo sul mio blog?

Oggi la risposta: mica devi scrivere per qualcuno, scrivi solo se te ne viene voglia e se hai qualcosa da dire, altrimenti sempre meglio tacere.





Bene.

Due considerazioni sulle bolle di sapone.

Che ci frega a noi delle bolle?
Che importanza possiamo dare ad ogni singola bolla?
E che gli frega all'universo di noi?
Che importanza possiamo avere noi, singolarmente, per lui?

Belle domande, eh?

E pensare che oggi sono anche di buon umore... ;)