sabato 25 aprile 2009

Paglia



Mi è rimasto vivo il ricordo della legnaia dei miei nonni.


Col tetto di piccoli fasci di paglia, legati ben stretti, ormai del colore della cenere, per quel poco che si poteva intravedere tra lo spesso strato di muschio che li ricopriva.
Non passava una goccia d'acqua da quel tetto.
Posato su tronchi di castagno neri dal tempo, ma ancora forti, perché il castagno non marcisce neanche all'acqua per via del tannino che contiene.


Ragazzino, durante i temporali estivi, mi piaceva arrampicarmi in cima ai pezzi ben tagliati, della giusta misura che potessero entrare senza fatica nella piccola stufa di ghisa, immergermi nell'intenso e grato aroma del legno, rannicchiarmi dove nessuno potesse vedermi e, solo, lasciar volare il pensiero, sicuro che nessuno avrebbe potuto raggiungermi.

La legnaia era addossata ad una casa spanciata a due piani, quasi senza più intonaco, con le dure pietre, prelevate con tanta fatica dal torrente, in bella vista.
Pietre portate poche alla volta a dorso di mulo su per i ripidi sentieri scavati più dall'acqua che dall'uomo, spaccate ad una ad una e squadrate sino a perdere ogni rotondità donata loro da millenni di rotolamento tra acque fredde e limpide.


Avevano la stessa età, la casa e la legnaia, ma quest'ultima aveva mantenuto una dignità che alla casa mancava.
La casa pareva un uomo alla fine della sua vita, pareva reggersi a fatica appoggiandosi alla sorella minore.
Mentre questa costruzione in legno e paglia, apparentemente molto più delicata di quella in pietra e calce e coppi rossi, dava passando una sensazione di protezione, di saggezza, di forza, mi faceva sentire bene.

Ma mia madre vendette quel piccolo pezzo di terra sul quale era posata, la casa non era nostra, al nuovo acquirente venuto dalla città, che avrebbe rinforzato e ridipinto e riarredato la vecchia casa stanca. E avrebbe messo, dove c'era la legnaia, un bell'ombrellone colorato e una bella sedia a sdraio dell'identico colore e un bel tavolino di plastica con sopra una bella radio.

E quindi, alcuni amici ed io, la buttammo giù quella legnaia, per far posto ai futuri ammennicoli del progresso.


Fummo veloci e precisi, sorretti dalla forza e dal furore dei nostri vent'anni.
Ed in mezz'ora la legnaia sparì.

Per sempre.

mercoledì 1 aprile 2009

Incontri


Avevo un cane un tempo, o per meglio dire, viveva nella nostra famiglia un boxer maschio di nome Flam. In realtà il nome corretto era Flamenco del David, ma sarebbe stato assai poco pratico richiamarlo in tale maniera ogni volta si fosse allontanato, e lui poi non era tipo da formalizzarsi.

Trentasette chili e passa, d'aspetto tanto feroce quanto era buono, irruente, dolce e testardo insieme. Ciononostante aveva una buona dose di aggressività nei confronti degli altri cani maschi ed anche verso qualsiasi tipo di animale grande o piccolo che fosse.



Era metà pomeriggio e stavamo gironzolando (io ed il quadrupede) sulle poche terre pianeggianti alle spalle del paese quando scorgemmo una capra solitaria legata ad un vecchio ciliegio con una lunga fune. Da buon predatore Flam rizzò orecchie e pelo sulla schiena e cominciò ad avvicinarsi guardingo.
La capra non mostrò alcun timore e continuò a brucare l'erba con noncuranza fintanto che non l'ebbe a qualche metro. A quel punto l'erbivoro sollevò il capo, si alzò sulle zampe posteriori e caricò a testa bassa e senza indugi il potenziale aggressore. Vidi negli occhi di Flam un lampo di stupore e sconcerto e, un attimo dopo, di paura. Scartò di lato aiutato dai suoi potenti posteriori e se la diede a gambe levate. Ma non andò lontano. Evidentemente l’istinto del predatore e l'orgoglio ebbero il sopravvento, per cui si fermò dopo pochi metri, si girò di scatto ed attaccò a sua volta galoppando ventre a terra. Fu il turno della capra fare velocemente dietrofront, per fermarsi poco dopo, voltarsi ed attaccare nuovamente.

Senza mai arrivare al reale scontro fisico continuarono a portare avanti il giochetto quasi senza interruzione, ma la corsa di ambedue gli animali, oltre ad allungarsi ogni volta un po' di più, perse via via l’iniziale drammaticità dell'evento violento, per prendere sempre più i connotati della scorribanda complice. Dalla schiena di Flam scomparve la macchia scura del pelo sollevato e lui cominciò ad assumere ad ogni cambio di direzione la comune e giocosa postura della sua razza, distendendo le zampe anteriori a terra e sollevando contemporaneamente il posteriore, per poi scattare in fuga o all'inseguimento a seconda del caso. La capra da par suo iniziò a compiere balzi incredibili per aria sfidando la legge di gravità e smise di abbassare la testa per incornare quello che era diventato il suo compagno di giochi.

Ogni tanto interrompevano le scorribande per riprendere fiato e ne approfittavano per annusarsi da vicino, per consolidare l'amicizia.
Lo spettacolo era affascinante e sarei stato ad osservarli per giorni, ma sentii il richiamo delle mie donne che mi avvisavano che la cena era in tavola. Così richiamai a mia volta Flam (ripetutamente perché non dava segno di ascoltarmi) e ci avviammo verso casa mentre la capra ci seguì quanto glielo permise la corda cui era legata.

A quel punto la prigioniera cominciò a belare. Un belato di scoramento, di dolore, di abbandono. Flam si bloccò voltandosi ed accennando qualche passo in senso contrario. E quella continuò a chiamarlo. Lui mi guardò negli occhi domandandomi silenziosamente se non era il caso di tornare da lei.
Io non rallentai il mio passo e lui continuò a seguirmi; ciononostante ad ogni richiamo della sua compagna non riusciva ad esimersi dal fermarsi un attimo e voltarsi indietro.
Rientrammo irremovibilmente a casa, i brontolii del mio ventre avevano reso l'atto inderogabile.
Ma la cena fu accompagnata dagli struggenti belati che senza interruzione entravano dalle finestre socchiuse.
Smisero solamente quando fece buio.



Il paragone è azzardato, ma questa sequenza fotografica mostra come sia davvero possibile che due animali di razza diversa riescano a comunicare e persino a giocare assieme.

Che sia perchè loro non si fanno problemi di colore della pelle, lingua o religione?